Come naufraghi siamo approdati sull’isola di Kho Phangan e M., ora come ora, veste bene i panni di Robinson Crusoe! Dopo due aerei e una specie di traghetto traballante, abbiamo provato le brezza di navigare di notte, su una piccola barchetta, in balia delle onde, che finalmente ci ha condotto su una spiaggia deserta, insieme ad un messicano e ad un’insegnante di yoga. La volta del cielo, sopra le nostre teste, immersa nel buio totale, non nascondeva nemmeno una stella, così da illuminare la vasta massa d’acqua scura sulla quale galleggiavamo: oceano.

Il lato dell’isola che abbiamo scelto, è al riparo dalla follia del famoso full moon party ed effettivamente, raggiungere la nostra meta per la notte, non è stata un’impresa facile. Ci siamo letteralmente arrampicati nel buio più totale su per una collina, con tanto di zaini, seguendo le indicazioni dei nostri compagni di viaggio, essendo questo lato dell’isola privo di mezzi di trasporto. La giungla è stata la nostra casa per qualche tempo: niente alchool, vizi di qualsiasi tipo e possibilmente niente plastica e tecnologia, solo i “divini noi stessi”. Questo è quello che recitava l’opuscolo del ritiro di yoga e meditazione, al quale abbiamo deciso di partecipare. Tanto per non farci mancare nulla, nella nostra avventura, infatti, abbiamo scelto di dedicare due settimane a questa pratica, memori dell’unica esperienza tentata sull’Himalaya, due anni fa.

Così, ci siamo uniti ad un piccolo gruppo di persone, partite con le stesse intenzioni: tutti diversi, tipi umani, messi in scena e allo scoperto. Ognuno con i suoi punti deboli, si è messo alla prova. Tolte le frange hippy/new age, e gli estremisti detox con le occhiaie, che bevono solo frullati per un mese, i più sono persone normalissime, con vite alle quali sentono di dover mettere un freno. Evidentemente, arriva un momento per tutti, in cui rivolgere l’attenzione su di sé, diventa un’esigenza e non ci trovo nulla di male. Proprio questo dovrebbe essere il vero scopo del ritiro, non un pesante esame di coscienza, ma più che altro il contrario: imparare a non essere schiavi della propria mente, controllarla, riportarla all’ordine, ognuno con il proprio metodo. Lo yoga e la respirazione non sono altro che attività fisiche volte a preparare il corpo a questo stato. Non è semplice combattere con le intrusioni del pensiero, ma nemmeno impossibile, e abbiamo tratto estremo giovamento dal mangiare vegetariano e risvegliare muscoli che non sapevamo di avere, nonostante ciò non vediamo l’ora di divorare una meravigliosa bistecca neozelandese a breve!

La natura incombe e segna le nostre abitudini: ci alziamo con il sole e sprofondiamo in lunghi sonni ricostituenti. La fauna è parte integrante del ritiro, suppongo: questi galli non cantano mai all’alba, ma sempre un’ora prima, abbiamo dormito con un topolino, un ragno gigante mi ha seguita mentre servivo il tè al resto del gruppo e infine ci siamo arresi a mosche e zanzare, che ormai hanno vinto la battaglia alla conquista delle nostre povere gambe! Nonostante ciò, abbiamo goduto di un’alba meravigliosa in cima all’isola, come premio per una camminata, in silenzio, su un sentiero irto, illuminato solo dalla luce della luna.

Abbiamo scoperto come, la giungla smetta di essere cosi inquietante, appena gli occhi si abituano all’oscurità e il cuore si mette in ascolto della miriade di suoni, che la rendono viva. Nel nostro piccolo angolo di paradiso perduto, abbiamo imparato a riconoscere i suoni del mare, così da anticipare quale fosse la sua consistenza, la mattina prima ancora di scendere a vedere. A volte è lento e disteso, con onde lunghe, che si srotolano senza forza, illuminate dal sole; altre volte l’acqua è dello stesso colore del cielo, bianca, e cascate di schiuma si infrangono sulla grande roccia proprio sotto di noi, mentre riempiamo i polmoni di iodio e restiamo ammaliati dal suo borbottare. L’isola è collegata da ponticelli di legno precari, ma molto pittoreschi e le piccole cale sono per lo più, composte da qualche palma e ghiaia.

Questo scenario, senz’altro incredibile, ha reso ancor più sublime la nostra vita da isolani, sospesi in uno stato di cose senza un prima e senza un dopo, estremamente confortante. L’ultimo giorno mi è stato chiesto di riassumere in una parola, come mi sentissi alla fine di questo percorso e ho risposto d’un fiato: piena.
G.M.
L’ha ribloggato su Tracks.
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