Inle Lake

Come due ladruncoli nell’aria fresca della mattina, abbiamo sceso le scalette in legno del nostro albergo, per calarci direttamente nei comodi sedili della canoa, che ci attendeva pronta. Non proprio una gondola, ma l’atmosfera era quella: come se ci avessero catapultato nella Venezia di metà’400. Cosi abbiamo iniziato il nostro viaggio attraverso uno dei rivi che circondano il lago di Inle nel cuore del Myanmar. Non avevo mai osservato  il panorama a me circostante così vicina alla superficie dell’acqua: un’altro punto di vista.

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Lasciata alle nostre spalle, la cittadina più grande della regione ( ovvero un paio di stradine tra una sponda e l’altra), ci siamo immersi nella vastità dello spazio, non più abituati ad un panorama privo di persone e avvolto nella perfezione della natura. Alla nostra destra le montagne coronate dalla luna, ancora alta in cielo, mentre dalla parte opposta, il sole che iniziava il suo corso, dando colore alle sfaccettature dell’acqua, ci hanno dato il buongiorno. I famosi pescatori, in equilibrio su una gamba sola e parte integrante del paesaggio, ci sorridevano desiderosi di attenzioni mentre continuavamo il nostro cammino, fino al cuore del lago.

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Piccole rapide ci hanno condotti dolcemente nell’insenatura, che ospita il mercato giornaliero. Un forte odore di pesce essiccato ci ha accolti, insieme ai consueti colori sgargianti, e ad un insolito silenzio. Le urla tipiche dei mercati indiani, ma anche italiani direi, ridotte a pochi cenni del capo e a grandi occhi interrogativi, che attendevano dietro le varie postazioni.

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Il nostro spazio non è stato minimamente invaso e il tutto era circondato da una cornice altrettanto singolare. Alle spalle del mercato, infatti, si stagliavano gli antichi stupa, un sito, dove la natura ha preso il sopravvento, prepotente. Alberi e rovi hanno messo radici anche sopra la roccia, ricordandomi la testardaggine della vita che se vuole si espande ovunque.

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Abbiamo proseguito il viaggio, fino a quello che sembrava essere un villaggio dimenticato, come sul set di un film del quale restano solo poche tracce. Sembra incredibile che esistano davvero posti cosi, in questo mondo. Ci siamo addentrati sinuosamente, seguendo il flusso dell’acqua, tra file di casette in legno, costruite su palafitte. Nessun movimento, tranne il viaggio di qualche canoa e ogni tanto un volto, nascosto tra le travi di legno. Ripensando a come, quello che sembrava un villaggio galleggiante, con tanto di ufficio postale, nel mezzo di nulla, per alcuni sia casa; mi viene la pelle d’oca.

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Sulla via del ritorno, ci siamo fermati ad ammirare lo spettacolo della vegetazione sotto la superficie dell’acqua bassa: li chiamano i floating gardens ed effettivamente il nome rende bene l’idea.

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Altre due soste hanno interrotto il nostro percorso a ritroso. Pazienti artigiani, hanno attirato la nostra attenzione, nel loro intento di lavorare l’argento, picchiettando con martelletti la superficie grezza e rigida della materia opaca, ancora priva di forma, per tirarne fuori piccoli capolavori, che solo una simile perizia può generare. Poco distante, alcune donne chine su filari di legno,  ci hanno lasciato a bocca apeta: le chiamano i colli lunghi, oppure giraffe, per via degli anelli che portano al collo. L’avanzare dell’età era presto rivelato dal numero dei cerchi dorati, ma i loro volti apparivano perfettamente sereni. Hanno accolto il nostro stupore, con un lieve cenno del capo, evidentemente abituate,  e con le mani giunte in segno di saluto.

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Ancora una volta sono rimasta incantata dalla nostra umanità così variegata, e dal gran numero di culture che la compongono mentre, sempre nel silenzio, ci lasciavamo condurre verso casa..

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Ardono i fuochi, sparsi per la campagna sullo sfondo di montagne dai contorni dolci. Il fumo sale lento, accompagnato dal vento, fino a dare l’illusione di superare le cime..

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La cornice perfetta e il finale perfetto per questa giornata.

G.M.

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