Kerala

La stazione dei bus è uno spettacolo di teatro: mezzi che vanno e vengono, odore di noccioline tostate, chi sale in corsa e chi attende. Mentre i venditori ambulanti tentano in ogni modo di convincerti che il loro chai è tutto quello che vorresti, i bigliettai urlano come comandanti di un plotone, il nome delle destinazioni, ovviamente in lingua locale, per cui per forza di cose, dobbiamo fidarci e sperare di non ritrovarci nella direzione opposta!

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Il via vai di terra, prosegue sopra i mezzi, dove si incontrano le persone più disparate. La mia compagna di viaggio è una vecchia signora senza denti, che ovviamente non parla inglese, con la quale fino ad adesso abbiamo condiviso biscotti, dicendoci tutto con gli occhi. Ogni passeggero è a proprio agio, nonostante la musica a tutto volume imposta dagli autisti, o il fatto che ci vogliano 5 ore per percorrere 200 km, su sedili di legno (se ti va bene), o in piedi. Di bus in bus, ci stiamo lasciando il Kerala alle spalle, e la lunga tratta da percorrere, mi offre il pretesto per fare il punto su quanto appena visto.

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Tra le regioni più ricche dell’India, nonché tra le più comuniste, il Kerala, ha tradito abbondantemente le mie aspettative, in senso positivo, in quanto sembrava aver preso molto seriamente il Natale… anche troppo! Tutto era una festa: musica e parate ci hanno sorpreso per giorni, anche nel cuore della notte, quando lo stesso canto puntualmente ci svegliava verso le 4. La prima città ad ospitarci è stata Kochi, nella quale siamo giunti, passando il confine a bordo di un treno a vapore, patrimonio mondiale dell’umanità. Paesaggi incantati scorrevano dall’alto, nella scia di fumo lasciata dal vapore, interrotti da un paio di pause per fare il pieno di acqua alla locomotiva. Uao!

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Fort Cochin, il quartiere più antico, sul mare, è una delizia! Del forte non è rimasto nulla, ma l’impronta della Compagnia delle Indie Olandese, ha lasciato il segno. Abbiamo condiviso un appartamentino tranquillo, proprio con due ragazze dall’Olanda e passato la domenica a passeggio tra le vie della città vecchia, avvolte da una quiete innaturale. Colori caldi all’interno, uno diverso per ogni casa, i bambini che giocavano a biglie per strada e un lungo mare pieno di gente, dove ammirare il capolavoro di ingegneria cinese delle reti da pesca, tuttora in uso.

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Qualche giorno dopo a Munnar, patria delle piantagioni da tè, ci siamo imbattuti nel carnevale hindu, dove il sacro elefante, dipinto con colori sgargianti, ha percorso le vie della città, scortato da aitanti ballerini e da una fiaccolata di donne al calar del sole.

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Munnar è tutta natura e abbiamo finito con lo scoprire che si tratta del “giardino privato” del grande Tata: ettari ed ettari di piantagioni e una spudorata propaganda a favore dello sviluppo che egli ha portato, aggiungendo questo pezzo di mondo al suo impero. Una visione che contrastava parecchio con i valori lasciati ad Ooty, ma comunque spettacolare.

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Dulcis in fundo… Varkala, dove surf, yoga e vita tranquilla sulla spiaggia, ci hanno cullato verso il nuovo anno, al punto che, salire su questi mezzi sgangherati nuovamente, è stato un tantino traumatico.

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Mentre mi lascio trasportare dai pensieri, dalle portiere rotte, con i capelli al vento, intravedo un paesaggio nuovo, diverso. I villaggi isolati e qualche traccia della brutta alluvione, che ha colpito un mese fa, infatti, mi fanno intendere di aver scavalcato il confine con il Tamil Nadu. Siamo vicini alla nostra meta: il capo sud dell’India, punto di incontro di tre mari, la fine delle terre.

 

G.M.

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