Mumbai

Siamo partiti senza una meta, erranti e in cerca di vita. Felici.

Con  un biglietto di sola andata giungiamo a Mumbai, alle 4 del mattino. L’arrivo è riassumibile in tre parole: caldo, clacson, caos.

Non è ancora l’alba eppure questa città già in fermento sembra non dormire mai, tutti in agitazione si preparano a iniziare la giornata, chi va a scuola chi va a vendere il pesce ai ristoranti, ovunque si posi, lo sguardo percepisce movimento.

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Il tragitto dall’aereoporto all’albergo mi ha fatto tornare indietro nel tempo, a quella sensazione familiare che provavo nel percorrere la strada, più lunga, che porta dall’aereoporto di Mombasa a Malindi, in Kenya. Chi l’ha percorsa in macchina, forse, può comprendere l’effetto liberatorio che tento di descrivere. Una sorta di rito di passaggio: più i chilomentri passano, più ci si lascia tutto alle spalle per entrare in un universo di odori, suoni, colori e vite completamente estranee, aiutati dall’andatura scandita di tutte le figure, tante, che camminano al bordo della strada. Nonostante il traffico, i ruomori, lo smog e l’aria umida questo percorso mi ha resa quieta , come sempre e pronta.

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Nonostante la stanchezza per il viaggio, ci immergiamo subito nella vita di città, un’altra India rispetto a quella che conoscevo e onestamente anche rispetto ai racconti. Sono rimasta piacevolmente colpita e affascinata. Gli edifici del centro sanno di passato coloniale, e se vogliamo anche un po d’Europa. Ai grandi palazzi in stile anglossone abbandonati a loro stessi, mimetizzati perfettamente tra le viuzze tutte uguali attorcigliate e confuse tipiche dell’India, si affiancano i colossi della potente e ricca costruzione moderna, e non lontano affatto, lo slum. Esagerazioni che non siamo abituati a conoscere in Italia, qui convivono naturalmente.

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Tentando di deviare dal solito itinerario turistico, ci avventuriamo verso nord a bordo di un tuc tuc in direzione di Bandra, che raggiungiamo attraversando un ponte spaziale. Affacciandomi dal finestrino l’altra parte della baia sembra quasi una città fantansma: enormi grattacieli avvolti da una coltre di nebbia fatta di umido e smog si ergono imponenti, mentre giunti a destinazione, ogni pezzo di muro è un pretesto per creare un rigugio di lamiera.

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Eh già perchè a Mumbai c’è il mare, ma della Boombay nota come centro di traffici commerciali di ogni tipo sembra rimasto ben poco. Il colore del mare si confonde con quello del cielo: bianco sporco quasi grigio al punto che non si riesce a distinguere da un capo all’altro della baia e al tramonto il sole invece di sparire all’orizzonte si perde dietro le nubi.

Quando finalmente arriviamo alla spiaggia sembra che tutta Mumbai si sia riversata li, dove i numerosi visitatori si mischiano a coloro che della spiaggia hanno fatto la propria casa. Un panorama assordante quindi, dove il contrasto ha la meglio e dove la curitosità per il diverso è ancora argomento centrale. A decine ci avranno fermato per fare una fotografia, al punto che ci siamo domandati se portasse fortuna! D’altra parte ogni persona che abbiamo incontrato era perfettamente munita di cellulari: bene primario per eccellenza come in Africa.

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Andare in giro per queste strade con una macchinetta fotografica al collo è stato come vincere alla lotteria, ogni passo è un crogiolo di espressioni da immortalare. Ne sono inebriata.

Per adesso se penso a dove mi trovavo un anno fa e a tutto quello che mi ha separato da questo momento, l’unico pensiero che mi viene in mente è: grazie.

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G.M.

4 pensieri su “Mumbai

  1. Più volte ho avuto il piacere di leggere i tuoi pensieri. Lo faccio anche oggi con rinnovato entusiasmo e curiosità. Come sempre i colori dei tuoi racconti sono delle sfumature più accese. Anche io vedo quello che vedi e per un attimo mi sento vicina a te in questo viaggio. Viaggio della vita, viaggio per la vita, viaggio verso la vita. Amica mia ♡

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